DEDICATO A CHI PIANGE LE VITTIME INNOCENTI DI VALENCIA E DI BRUXELLES

Davanti ai drammatici avvenimenti di questi giorni, trovare parole di conforto per chi ha perso persone care, è una ricerca inutile, per il semplice motivo che non esistono…
Vorrei però dedicare a loro, questa riflessione attribuita a Sant’Agostino e comunque ripresa dal canonico della cattedrale di St. Paul di Londra, Henry Scott Holland. Questo breve brano, rappresenta ciò che dovrebbe essere l’atteggiamento cristiano, davanti alla morte.

La morte non è niente. Sono solamente passato dall’altra parte: è come fossi nascosto nella stanza accanto.
Io sono sempre io e tu sei sempre tu. Quello che eravamo prima l’uno per l’altro lo siamo ancora. Chiamami con il nome che mi hai sempre dato, che ti è familiare; parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato. Non cambiare tono di voce, non assumere un’aria solenne o triste. Continua a ridere di quello che ci faceva ridere, di quelle piccole cose che tanto ci piacevano quando eravamo insieme.
Prega, sorridi, pensami!
Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima: pronuncialo senza la minima traccia d’ombra o di tristezza.
La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto: è la stessa di prima, c’è una continuità che non si spezza. Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente, solo perché sono fuori dalla tua vista? Non sono lontano, sono dall’altra parte, proprio dietro l’angolo.
Rassicurati, va tutto bene. Ritroverai il mio cuore, ne ritroverai la tenerezza purificata. Asciuga le tue lacrime e non piangere, se mi ami: il tuo sorriso è la mia pace.

Un abbraccio
Ennore

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DAVVERO COMBATTIAMO IL TERRORISMO ISLAMICO ?

di Ennore

“Nel tempo dell’inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario”
George Orwell

I recenti tragici fatti di Parigi mi hanno ulteriormente spinto a cercare di capire cosa stia realmente accadendo nel mondo, in questa particolare fase storica..
In questo articolo, esternerò il mio pensiero per quanto riguardo la vicenda che contrappone il sedicente stato islamico che tutti conosciamo come I.S.I.S.(Stato Islamico dell’Iran e della Siria) e quello che definiamo “mondo occidentale”.
L’impresa non è facile, perché la questione che affronterò ha infinite sfaccettature e si presta a moltissime interpretazioni, anche le più fantasiose, ma che tali potrebbero non essere…
L’unica certezza è quella di trovarci di fronte ad un nemico feroce e vigliacco, che compie azioni atroci che non hanno alcuna giustificazione possibile.

Partiamo da alcuni dati:
la religione islamica, che può contare circa un miliardo e mezzo di fedeli in tutto il mondo, è suddivisa, principalmente, in due diverse confessioni, rappresentate dagli Sciiti (ca. il 15%) e dai Sunniti (ca. l’85%); questi ultimi, quindi, sono la gran maggioranza. La divisione, o scisma, risale all’epoca della morte di Maometto, quando i Musulmani, affrontarono la questione che riguardava la successione del Profeta, e non starò qui a fare la storia di quale sia stata l’evoluzione della diatriba fra le diverse scuole di pensiero. Sinteticamente, e in modo molto semplicistico, possiamo ritenere gli Sciiti più moderati, mentre i Sunniti sono molto più legati alla tradizione islamica e possiamo considerarli più radicali.
Quella a cui stiamo assistendo da anni a questa parte, è una disputa violenta fra queste due confessioni, che ha trasceso l’aspetto religioso, per arrivare ad essere una vera e propria guerra per la conquista del potere religioso, di quello politico e anche di quello finanziario; aspetto, quest’ultimo, non estraneo a qualunque contesa umana. Ma non possiamo ignorare che, alla base della guerra dichiarata da parte del mondo islamico all’occidente, esiste una profonda motivazione religiosa e di conquista, che affonda le sue radici fin dalla Battaglia di Lepanto, nel 1571.
Quella sconfitta, che noi occidentali avremmo ormai confinato nelle pagine della storia, resta invece una ferita aperta nell’orgoglio e nelle rinnovate e tanto propagandate mire espansionistiche dell’Islam. Maggiormente assetata di vendetta è la confessione di fede Sunnita la quale, attraverso molti dei suoi capi religiosi più fanatici, non ha mai nascosto di voler ricreare il Califfato e di volersi riappropriare di territori che ritiene storicamente le appartengano; la qual cosa è infondata in quanto l’Andalusia e altre terre europee che l’Isis reclama sono frutto di conquiste militari da parte dei Mori e non certo appartenenti all’Islam, e riconquistate dagli spagnoli attraverso sanguinose battaglie, condotte da eroi e personaggi più o meno leggendari, come il Cid, detto “Campeador”.

Fatta questa lunga premessa, arriviamo alla situazione attuale: ci troviamo ad affrontare un nemico determinato e che può contrapporre alla nostra civiltà, che esalta la vita come valore, una filosofia secondo la quale la morte di un musulmano, se avvenuta nell’atto o nel tentativo di uccidere anche un solo “infedele”, avrà per premio la vita eterna, in un paradiso dove, oltre a infiniti piaceri, potrà accoppiarsi con 72 vergini. In realtà, su questo aspetto del Paradiso coranico molti studiosi musulmani hanno interpretazioni diverse, anche negazioniste.
Ciò che conta, però, è quanto viene inculcato nelle menti dei fedeli più deboli o di quelli “arrabbiati”, magari per questioni sociali, dagli Imam più radicalizzati e politicizzati, e che predicano liberamente nelle moschee di tutto il mondo, e che, grazie alla nostra cultura democratica, possono predicare anche in quelle che sorgono sui nostri territori.
Quando il nostro nemico, dunque, non ha paura di morire o addirittura utilizza la propria morte per infliggere perdite all’avversario, mentre, al contrario, noi cerchiamo disperatamente di sopravvivere, la lotta diventa impari e richiede strategie che trascendono dalla sola forza delle armi tradizionali.

Quali potrebbero essere le armi alternative? Io non sono certo uno stratega, però ritengo che la soluzione più efficace sia intaccare decisamente la forza economica dell’Isis (è stato calcolato che i guadagni derivanti dalla sola vendita del petrolio estratto nelle terre conquistate ammonti a circa 1,5 milioni di dollari al giorno, ca. 450 milioni all’anno); si può giungere a un qualche risultato bloccando le transazioni che avvengono quotidianamente, attraverso banche compiacenti. A quel fiume di denaro, derivante dall’illecita vendita del petrolio, si deve aggiungere il ricavato derivante da rapimenti e dal saccheggio delle casse delle banche all’interno dei territori occupati dall’Isis. Contemporaneamente a queste misure di carattere economico, da adottare immediatamente, si devono migliore le operazioni di intelligence, che porterebbero a prevenire attacchi terroristici. Una ulteriore mossa, potrebbe essere quella di attuare una propaganda culturale, che possa contrastare con la forza della ragione, le idee radicali di certi Imam; ma quest’ultima via, oltre essere la più difficile e probabilmente la meno efficace, visti gli individui a cui sarebbe rivolta, richiederebbe troppo tempo, ed ormai è proprio il tempo il nostro implacabile e principale nemico, cosa che i governi occidentali hanno ottusamente sottovalutato.

A questo punto, mi chiedo chi siano i responsabili di questa gravissima sottovalutazione che potrebbe condurci ad una disfatta fatale. Mi sfilano davanti agli occhi le facce di tutti i rappresentanti dei governi occidentali che, in questi anni, hanno versato fiumi di parole cariche d’intenti senza che mai seguissero i fatti. Sento risuonare le parole dei soliti giustificazionisti, di quelli per i quali c’è sempre un “se” ed un “ma”, di quelli che non prendono mai posizione, ma che, in nome di un ormai insopportabile “politically correct”, vogliono abolire i nostri simboli, le nostre tradizioni, di quelli che pensano che vietando il Presepe o il Natale si possa placare la sete di sangue di queste belve feroci.
Non ultima, la responsabilità è anche di quei musulmani che si dichiarano moderati, e che mai dicono parole veramente moderate e di totale, incondizionata condanna, nei confronti degli atti terroristici di origine islamica, ma invece tendono sempre a trovare una motivazione che riporti alle colpe (anche vere) della nostra cultura, alle ingiustizie subite nel passato, e mai alle responsabilità dei loro paesi di provenienza.

Ma se vogliamo ripassare la storia degli ultimi decenni, a mio parere, gli Stati Uniti d’America sono fra i principali colpevoli di questa nostra debolezza, e lo sono in quanto maggiore potenza economica e militare del pianeta.
La politica estera messa in atto dai governi americani, compreso quello di Obama (Nobel per la pace, è bene ricordare questa assurdità), è stata così incredibilmente miope, deleteria e devastante, che mi viene il sospetto sia stata invece dettata da meri interessi nazionali, di ordine politico, economico e militare, non ultima la nuova strisciante “guerra fredda” con la Russia.

Facendo un rapidissimo ed incompleto riassunto delle “malefatte” statunitensi, potremmo cominciare con l’Iran, dove attraverso la collaborazione del Pakistan appoggiarono un colpo di stato a favore di Reza Palhavi, e poi il regime degli Ayatollah… cosa successe in seguito, è ormai storia nota.
In Afghanistan armarono i talebani per supportarli nella guerra contro l’Unione Sovietica, e non certo per soli scopi umanitari, ma spinti soprattutto da interessi petroliferi, legati al passaggio degli oleodotti, e da strategia militare, atta a sfiancare le risorse sovietiche. In seguito al loro intervento, gli Stati Uniti finirono poi, per trovarsi a dover combattere contro gli ex alleati, da loro stessi armati e sostenuti, e accusati dal governo americano di aver fiancheggiato gli ideatori dell’attentato alle Twin Towers.
In Siria è stata adottata la stessa strategia: prima armi agli insorti per abbattere il regime di Assad e, poi, a parte degli oppositori al regime, che danno vita al nostro nemico, l’Isis.

Gli americani inoltre, hanno da sempre intense relazioni economico-militari con stati arabi, come l’Arabia Saudita ed il Qatar, che sovvenzionano lo stesso terrorismo che dicono di combattere.
In Libia, le cose più o meno sono andate allo stesso modo di sempre, ma qui la responsabilità maggiore è da attribuirsi alla Francia, la quale con l’intervento militare intendeva non già abbattere una dittatura, ma mettere mano sui più grandi giacimenti petroliferi di tutta l’Africa, estromettendo l’Italia, primo partner economico della Libia.
E proprio la Francia, oggi così duramente colpita, dovrebbe meditare sui propri errori; su una politica che ha lasciato trasformare le banlieue in zone franche, dove l’autorità legittima ormai non ha più accesso e il fanatismo islamico trova terreno fertile per nuove reclute.

Ora qui entro nel campo delle mie illazioni personali o, meglio di ciò che penso possa essere uno dei motivi reconditi per cui le potenze occidentali, fino ad oggi, hanno fatto una guerra insufficiente, per non dire blanda, al fondamentalismo islamico.
Tralascio l’opzione dell’incapacità di lettura a lungo termine da parte dei governi occidentali, che presupporrebbe una certa stupidità, cosa che non voglio neanche pensare; quindi provo ad analizzare attraverso un’altra angolazione, quanto è successo in questi ultimi tempi.

Recentissimamente, in occasione del tragico abbattimento (così pare ormai dato per certo) dell’aereo di linea russo sulla penisola del Sinai, ci è stato raccontato che un satellite spia americano ha rilevato tracce di calore sul velivolo, da riferirsi probabilmente ad una esplosione a bordo. Con la memoria sono risalito alle centinaia di immagini, trasmesse dalle televisioni di tutto il mondo, che riguardavano lunghissime colonne festanti di pick up bianchi, affollati di militanti dell’Isis e di relativi armamenti. La domanda mi è sorta spontanea: ma come, un satellite americano, guarda il caso, riesce ad inquadrare un aereo di linea sul Sinai proprio nel momento in cui esplode e, allora, perché nessun satellite ha mai intercettato queste colonne di terroristi che si spostano indisturbati per centinaia di chilometri? O ha mai inquadrato i campi in cui si addestrano, o gli accampamenti che allestiscono durante le soste? In modo da poter intervenire con bombardamenti, questi si, davvero mirati. Sappiamo bene quanto sia fitta la rete di satelliti spia che stazionano intorno alla Terra! Anche perché, a quelli americani, dobbiamo aggiungere quelli francesi e quelli inglesi, quelli cinesi e di chissà quante altre nazioni, compresa l’Italia (tralascio la Russia, che al momento sta conducendo una guerra in proprio e per questo è sotto accusa…ma non credo ancora per molto!).

Siamo certi che il desiderio di abbattere il governo di Assad sia solo dettato da spirito umanitario e democratico? E non invece abbia anche e soprattutto lo scopo di indebolire l’influenza russa in quell’area, così importante dal punto di vista economico e strategico?
La propaganda attraverso i media può aiutare molto e, a questo riguardo, ricordo che nei giorni in cui era ancora in mano ai suoi rapitori, Domenico Quirico, giornalista de “La Stampa”, tutti i media occidentali diffusero la notizia che il regime siriano aveva utilizzato gas nervini contro la sua stessa popolazione inerme, scatenando così reazione di sdegno in tutta l’opinione pubblica. Lo stesso giornalista torinese, però, nel suo istant book, raccontò che non era certo della provenienza governativa di quegli orribili ordigni, anzi, avanzò più di una perplessità, pur senza avere certezze, perché durante la sua prigionia aveva udito lui stesso, durante una conversazione su Skype, parlare i suoi rapitori di un piano per incolpare Assad dell’uso dei gas, in modo da incentivare l’intervento occidentale contro il regime. Comunque sia andata, gli USA e i suoi alleati non ebbero dubbi: la responsabilità era del governo siriano.
Questo fatto mi riporta alla mente le armi di distruzione di massa, date per certo in mano a Sadat, e che non furono mai trovate.
Sia chiaro, con questo non intendo schierarmi a favore di quei regimi totalitari che sono spesso anche sanguinari, ma che, di certo, purtroppo non sono gli unici su questo nostro travagliato pianeta.

A questo punto mi chiedo ancora: può questa rinata “rivalità” con la Russia – che parteggia apertamente per il regime di Assad, sostenendo che la sua caduta causerebbe un nuova caos libico – essere la sola causa di questa, fino ad ora, insufficiente reazione contro il califfato nero?
Secondo me, no! Allora perché si è fatto così poco e anche tardivamente contro la strategia del terrore? A chi potrebbe giovare, oltre all’Isis stessa, gettare nel panico le popolazioni del mondo occidentale?
A mio parere, fra le tante possibili ragioni, ce n’è una, molto sottile e alquanto pericolosa, per le implicazioni che ne deriveranno sul nostro vivere quotidiano negli anni a venire, e che spero fortemente sia frutto solo delle mie fantasie “complottiste”.

Proprio in questi momenti, Hollande sta parlando ai francesi davanti alle camere riunite, per la prima volta nella storia del dopoguerra. Sta dicendo che verranno prese misure speciali, che sarà modificata la costituzione, perché queste nuove misure siano rese immediatamente operative, che ci saranno inevitabili restrizioni alle libertà personali, che sarà per il bene dei francesi.
Negli Stati Uniti, ormai dal 2001, c’è una strisciante rincorsa alla restrizione delle libertà personali e c’è chi, in parlamento, ha promosso una legge sull’utilizzo dei droni come mezzi di sorveglianza su tutto il territorio statunitense.
In molti paesi si pensa di aumentare le intercettazioni telefoniche; e le telecamere di sorveglianza nelle città si stanno moltiplicando. Ripenso a certi film o romanzi distopici, in cui si ipotizza l’utilizzo di microchip installati sotto la pelle per controllare i cittadini. Qualcuno ha realmente già promosso questa iniziativa, con la giustificazione di un controllo di tipo sanitario, a solo favore del portatore di microchip; d’altronde questo software è già utilizzato per gli animali, anche quelli domestici.
Una popolazione impaurita, a chi potrebbe chiedere aiuto se non al proprio governo? E di fronte alla minaccia di atti terroristici, chi non rinuncerebbe a parte della libertà personale?
La crisi economica di questi anni, la paura del baratro finanziario, l’arma dello spread, non hanno forse avuto come conseguenza l’accettazione, da parte dei governi, di cessione di parte della sovranità nazionale e da parte dei cittadini di sacrifici economici, anche molto gravosi?

Le grandi multinazionali dell’industria farmaceutica, per vendere più medicine, hanno adottato strategie che hanno enormemente aumentato i loro profitti, e lo hanno fatto nel modo più semplice: creando nuovi malati. Facciamo un piccolo esempio: se negli anni passati il rischio colesterolo era fissato a 400, è bastato abbassare a 240 la soglia di rischio per trovare immediatamente milioni di nuovi malati. Questo è stato fatto anche per altre situazioni sanitarie. Meglio avere malati che morti: i malati consumano medicine. E allora perché non potrebbe essere stata adottata la stessa strategia? Cioè combattere blandamente il terrore e lasciarlo agire come un virus, quel tanto che basta per avere cittadini che chiedono la medicina, cioè la cura che solo lo stato può dare: la protezione a qualunque prezzo, anche a costo di essere controllati nel loro privato, anche quello più intimo.

Certo può sembrare un piano folle, ma siamo certi che l’avidità di chi tiene nelle sue mani i destini del mondo possa avere qualche freno? Controllare la vita dei cittadini, conoscerne i gusti, le abitudini, i loro desideri, gli spostamenti sul territorio (oggi la Francia ha chiesto un registro di tutti coloro che usano l’aereo per spostarsi) e la loro capacità d’acquisto, attraverso il controllo bancario, sarebbe un’arma formidabile nelle mani di chi gestisce il Potere, il Mercato e l’Economia in generale.
Già oggi esistono mezzi che consentono un certo controllo e lo sperimentiamo quotidianamente: sono i “cookies”. Sappiamo tutti ormai, che un attimo dopo aver fatto una qualsiasi ricerca su Internet verremo invasi da mail o banner pubblicitari, che riconducono alla materia della nostra ricerca. In questo stesso momento, si stanno studiando come realizzare pubblicità personalizzate; non sono lontani i giorni in cui, passando davanti ad uno scaffale del supermercato, una voce suadente ci chiamerà per nome, indirizzandoci verso il prodotto in promozione e che si sa essere di nostro gradimento.
Obama stesso, alla nascita del fenomeno Isis, ebbe a dichiarare che si doveva contenere il sedicente stato islamico, non parlava di distruggerlo, ma forse ora il giocattolo è scappato di mano e chissà se sarà possibile porvi rimedio.

Spero fortemente, come ho scritto in precedenza, di aver peccato di stupido complottismo. Lo spero per il bene dei miei figli e di tutti noi e, se così fosse, se cioè davvero esistesse la volontà ferrea di combattere e distruggere il terrorismo islamico, è il momento di non perdere più neanche un secondo. Si deve agire subito, con tutti i mezzi possibili, ma senza sacrificare quelli che sono gli ideali della nostra civiltà, primo fra tutti la nostra libertà.

Riporto qui sotto, un brano tratto da “La rabbia e l’orgoglio” di Oriana Fallaci. E’ stato scritto nel 2001, ma potrebbe essere datato 13 Novembre 2015
“…Una guerra che essi chiamano Jihad. Guerra Santa. Una guerra che non mira alla conquista del nostro territorio, forse, ma che certamente mira alla conquista delle nostre anime. Alla scomparsa della nostra libertà e della nostra civiltà. All’annientamento del nostro modo di vivere e di morire, del nostro modo di pregare o non pregare, del nostro modo di mangiare e bere e vestirci e divertirci e informarci Non capite o non volete capire che se non ci si oppone, se non ci si difende, se non si combatte, la Jihad vincerà. E distruggerà il mondo che bene o male siamo riusciti a costruire, a cambiare, a migliorare, a rendere un po’più intelligente cioè meno bigotto o addirittura non bigotto. E con quello distruggerà la nostra cultura, la nostra arte, la nostra scienza, la nostra morale, i nostri valori, i nostri piaceri… “

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Perché questa crisi finanziaria (2)

Mi sono chiesto, prima di scrivere queste righe, se ci fosse ancora qualcosa da dire su quella che, in questi anni, abbiamo conosciuto genericamente come “crisi economica”. Credo fortemente che ci sia ancora molto da scoprire sui meccanismi che l’hanno determinata e su quali possano essere i rimedi per superarla. Questa crisi del sistema economico occidentale, ma che a causa della globalizzazione dei mercati è da considerare mondiale, ha avuto effetti su una moltitudine di persone, paragonabili a quelli di una vera guerra armata, tali e tanti sono stati i danni socioeconomici che ha causato. Si conosce molto bene quale è stata la genesi della crisi con, in primo luogo, il problema dei mutui subprime, concessi negli Stati Uniti con incredibile leggerezza a partire dal 2006; e sarebbe lungo farne la storia, perché occorrerebbe andare molto indietro nel tempo e coinvolgere personaggi mediaticamente adorati, come Bill Clinton eBarak Obama.

Dobbiamo al presidente Clinton la soppressione della Glass Steagel Act che, di fatto, aboliva la distinzione fra banche d’affari e banche commerciali; e poi ancora Clinton attuava una totale deregulation finanziaria firmando il Commodity Futures Modernization Act, atto per me gravissimo.
Obama, ancora prima di diventare presidente, ha avuto una forte influenza sulla concessione dei mutui subprime, prestiti che in larga parte non sono mai stati onorati e che hanno portato alla confisca di migliaia di abitazioni, con il disastro sociale che ne è derivato.
Si sono fatte anche tante ipotesi complottistiche che in alcuni casi, a mio parere, non sono poi così remote: basti pensare che, durante questa crisi, non tutti ci hanno rimesso; anzi, una foltissima schiera di uomini d’affari, più o meno noti, ha tratto enormi vantaggi economici, scommettendo proprio su quella crisi che, probabilmente, loro stessi hanno provocato. Ma io non vorrei spingermi così lontano dall’Italia e rischiare di addentrarmi in un terreno molto insidioso, dove tutto, ed il contrario di tutto, potrebbe essere possibile. Voglio restare in casa nostra e provare a cercare una spiegazione a molto di quello che è accaduto e sta ancora accadendo dal 2011 ad oggi. In questo mi è di grandissimo aiuto il senatore a vita, ex presidente della Bocconi ed ex presidente del consiglio, Mario Monti. Di lui si può dire molto (per me nel male), ma non che non sia chiaro quando parla e lo è fino quasi alla brutalità e, in alcuni casi, fino ad arrivare ad una involontaria comicità.
Nel 2011, durante una intervista pubblica, Monti spiega molto chiaramente il perché ci sia la crisi economica: “Perché è un bene che ci sia…” Uso il virgolettato perché sono parole di Monti; ed ancora il prof. ci spiega che le crisi devono essere conclamate e profonde; e più creano panico nella popolazione, più le comunità nazionali sono disposte a cedere pezzi importanti di sovranità ma… quando le crisi finiscono (quindi mi viene da pensare che qualcuno possa decretare la fine di una crisi) si sono ormai emanate leggi e norme, quasi sempre irreversibili.
Potrete trovare il filmato dell’intervista nel post scritto precedentemente a questo e sullo stesso argomento.

Ennore

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Le ali spezzate

Francesca Strino è una assistente di volo, oggi ha scritto questa bellissima e struggente lettera con il pensiero ed il cuore rivolto alle vittime del tragico volo 4U 9525 della GermanWings…

MERCOLEDÌ 25 MARZO 2015
Le ali spezzate

Ricordo una sera di novembre del 1990. Lavoravo da poco come assistente di volo. Partivamo da Milano, come loro, ed eravamo vicini in sequenza per il decollo. Quando dopo un’ora circa siamo atterrati a Napoli, ce l’hanno detto. Erano precipitati nei pressi di Zurigo. Non li conoscevo personalmente. Ho passato molto tempo a cercare di ricordare se li avessi incontrati al “Charlie”, il centro equipaggi di Linate. La mia mente si è sforzata lungamente di distinguere i loro visi tra quelli dei colleghi che avevo visto nella stanza equipaggi: mi chiedevo ossessivamente se erano in transito, se fossero scesi come noi per abbandonare per pochi minuti il tubo di metallo e mettere i piedi sulla terra ferma, per prendere un caffè, per fare una telefonata a casa, o solo per salutare qualche amico anche lui in transito.
Un incidente aereo è un fatto tragico. Visto dall’interno irrompe nella tua quotidianità. Ogni volta che accade penso al turbamento degli addetti ai check in, che hanno accettato quei passeggeri, e al personale all’imbarco che ha controllato i loro documenti, all’emozione della rampa che ha salutato per l’ultima volta quell’equipaggio alla chiusura delle porte, degli addetti ai bagagli che hanno caricato quell’aereo ed hanno chiuso i suoi portelloni, pensando di aver fatto il gesto di sempre che col senno di poi diventa un gesto unico. Penso al turnista che ha assegnato il volo ad un navigante che forse non aveva voglia di partire.
Quella sera del 1990 siamo rientrati a Milano in un albergo in cui regnava uno sconvolgente silenzio. Il personale alla reception era costernato. Nei corridoi echeggiavano solo le voci dalle tv accese. In quell’albergo ci abbiamo passato gran parte della nostra vita lavorativa. In quell’albergo le stanze erano piene di naviganti attoniti mentre quelle destinate a quell’equipaggio erano rimaste desolatamente vuote. Ci sono momenti nella nostra vita che non si cancellano.
I naviganti, non solo i piloti, vengono addestrati ad evitare incidenti, a correggere comportamenti pericolosi, ad intervenire in caso di emergenza per limitare i danni, ad evacuare centinaia di persone in pochi secondi, a spegnere gli incendi in ambienti angusti. Vediamo decine di filmati sconvolgenti e ascoltiamo terribili resoconti di disastri accaduti ad altri, non per giudicare, né per trovare un inutile colpevole, ma per apprendere cosa fare e cosa non fare in certe circostanze o su cosa focalizzare l’attenzione, perché la routine non ci distolga dai problemi reali e dai segnali d’allarme, per riuscire a rilevare l’errore e a correggerlo prima che sia irrimediabile. L’eventualità del disastro fa parte della nostra vita. E gran parte dei nostri sforzi è teso ad evitarlo. O a fare in modo che abbia meno conseguenze possibili. La chiamano “resilienza”, la capacità di far fronte ad eventi dirompenti e traumatici, e superarli.
Lavorare sugli aerei tuttavia è routinario, come lo è qualsiasi altro impiego. Imbarchi, rullaggi, decolli voli e atterraggi si susseguono in continuazione e ti colgono coi tuoi pensieri e le tue solitudini. La tua vita si svolge all’interno di un aeroplano che diventa parte del tuo contesto, e tu sei parte di lui.
Ogni persona che vi lavora porta con se una parte della propria esistenza e sale sugli aerei con le proprie aspettative, speranze, e delusioni, ed un bagaglio umano fatto di abitudini, talvolta di cibo da casa, oppure di libri da continuare a leggere nei transiti, di immancabili gadget elettronici, la connessione con i propri affetti, e di piccole cose quotidiane stipate nella borsa infilata in qualche buco dell’aereo, dentro un galley, in un armadio: pezzi di vita individuali che ti seguono ovunque tu vada.
Non posso neanche pensare a coloro che hanno aspettato invano i loro cari saliti su quell’aereo, la mia mente si rifiuta di affrontare lo strazio dei genitori di quei ragazzi partiti per uno scambio culturale. Ci sono i passeggeri, e le loro famiglie. E ci sono gli altri. Il crew. Ho letto molti post dei miei colleghi sui social in questa infausta giornata. Ciascuno di noi si è chiesto cosa hanno provato le persone che erano a bordo del volo GermanWings che è caduto oggi. ciascuno di noi si è immedesimato in quell’equipaggio, con un turno di lavoro di quelli che capitano spesso. Un volo con una sveglia allucinante, e delle tratte di medio raggio sufficientemente brevi. Forse a Düsseldorf avrebbero finito il turno e sarebbero tornati alle loro vite terrestri. O forse avrebbero continuato per altre destinazioni, e sarebbero rimasti a bordo, avrebbero preso un caffè o consumato un pasto per poi ripartire. Avrebbero chiacchierato, telefonato ai propri cari, avrebbero raccontato le piccole cose che erano loro accadute. Una parte di noi era a bordo con loro, era lì dove non vorresti mai essere e dove invece sai che potresti trovarti, in quella che doveva essere una normale giornata di lavoro e che invece, per loro, è diventata l’ultima.
Non importa quale sia il colore di quella livrea, o il taglio di quella divisa, o la lingua utilizzata. Non importa se qualche volta ci siamo squadrati con diffidenza o con curiosità nelle hall degli alberghi o negli aeroporti del mondo. Alla fine siamo tutti parte dello stesso mondo, ed ancora una volta, siamo tutti parte di quell’equipaggio che era su quell’aereo. Ed una piccola parte di noi è volata via con loro.

Francesca Strino

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La verità sul mercato immobiliare

Ricevo dal Sig. Gualtiero Ferri, operatore da moltissimi anni nel settore immobiliare, questa lettera aperta e volentieri la pubblico. Mi pare possa fare chiarezza su cosa è successo e sta ancora succedendo in un settore dell’economia, che oltre ad essere di primaria importanza, interessa una vastissima fascia della popolazione italiana. In questo articolo, si fanno alcuni riferimenti specifici all’area di Genova, ma le considerazioni espresse, sono da ritenere comuni all’Italia in generale.

LETTERA APERTA
“La verità sul mercato immobiliare”

Mi chiamo Gualtiero Ferri, sono un agente immobiliare di Genova fin dal 1989 e tra i più anziani associati F.I.M.A.A (Federazione Italiana Mediatori e Agenti di Affari), con questa mia lettera, intendo fornire una precisa informazione sull’andamento del mercato immobiliare a tutti gli operatori ed in particolare a tutte le persone e famiglie che hanno riposto fiducia in esso.

Da una indagine da me svolta presso tutti gli operatori del sistema, quali : notai, agenti immobiliari, geometri, architetti, ingegneri , società di costruzioni, amministratori dei principali portali immobiliari , ecc. mi viene confermata la profonda crisi del settore che si manifesta con una forte contrazione dei prezzi e del numero delle transazioni (compravendite). Crisi che peraltro è ormai nota anche a tutti i singoli proprietari di immobili.

Desidero in primo luogo dare delle indicazioni generali su quali siano gli elementi fondanti e peculiari del mercato immobiliare italiano, per meglio individuare i meccanismi che lo muovono.

La proprietà immobiliare in Italia, a differenza di molti paesi europei , è distribuita in una moltitudine di famiglie; in pratica tutti gli italiani sono proprietari di un immobile che quasi sempre è la propria abitazione.
Pertanto, come dimostrano i dati degli uffici del Pubblico Registro Immobiliare, il 90% delle transazioni sono state nel corso degli ultimi 60 anni, scambi di prima abitazione. Risulta corretto quindi asserire che la motivazione unica delle transazioni immobiliari, sia stato il desiderio di ogni singola famiglia di migliorare la qualità abitativa della propria casa e quindi si può affermare con sicurezza che il mercato immobiliare italiano non sia mai stato speculativo.
Utilizzare il termine “bolla speculativa” per il mercato italiano significa commettere un errore fondamentale. Certamente l’andamento dei prezzi ha registrato nel passato anche dei picchi rilevanti ma facilmente spiegabili con la ciclicità delle esigenze familiari, con momenti di maggiore serenità economica delle famiglie che di fatto sono le vere attrici del mercato.
Cambiare la propria abitazione in una più adatta alle nuove esigenze famigliari , si è tradotto nel ricercare una casa più grande, infatti la superficie media maggiormente scambiata nel tempo è cresciuta, nell’essere collocata in zone più silenziose, raggiunta da maggiori servizi , dotata di spazi esterni più godibili, con esposizioni più soleggiate o maggiore vista panoramica, insomma tutte motivazioni legate all’uso vero e proprio del bene immobiliare. Lontano quindi dal pensiero speculativo; così facendo è semplice comprendere perché il Levante genovese ha raggiunto quotazioni sempre più elevate ed al contrario alcune zone della Val Polcevera e del primo ponente hanno registrato diminuzione dei valori .
Uno degli strumenti che ha consentito questo costante accrescimento, non in ricchezza ma in qualità di vita , è il il credito fondiario (mutuo), strumento regolato da normative specifiche emanate dallo Stato con l’intento di stimolare questo processo, in considerazione del ruolo sociale che la casa di proprietà svolge nei confronti della comunità; in questo modo lo Stato ha potuto dedicare le proprie energie a colmare le esigenze abitative delle fasce più deboli realizzando l’edilizia popolare.
Le condizioni perché una famiglia decida di affrontare il cambio della propria casa in una migliore sono semplici da identificare : serenità economica, costi correlati sostenibili, fiducia nel futuro.
Purtroppo negli ultimi anni abbiamo assistito al venire meno delle suddette condizioni e si è registrato anche un cambio di visione da parte dei nostri legislatori i quali hanno dimenticato il ruolo sociale della prima casa e hanno interpretato la casa, genericamente, come un patrimonio da cui attingere capitali, togliendo la fiducia nel futuro alle famiglie.

Quindi la casa, che sottolineo in Italia è di fatto per circa il 90% “abitazione”, non è più simbolo di sinergia Stato / famiglia ma è diventato solo “patrimonio”. Le famiglie in generale si sono sentite tradite nei loro sacrifici e ciò ha creato disaffezione ed insicurezza.
La crisi economica, come se non bastasse, toglie ulteriore fiducia e non consente scelte di lungo termine alle famiglie italiane.
La somma di tutti questi elementi ha generato una sempre più scarsa propensione al miglioramento della qualità abitativa ; il conseguente fortissimo decremento di scambi di prima casa ha fatto venire meno il principale motore del mercato immobiliare.
Trovo pertanto corretta e conseguenziale una discesa inesorabile delle quotazioni se non verranno adottate dal legislatore norme che riportino ad una complementarietà del rapporto Stato / famiglia basato sulla tutela della “abitazione” ,visto che vi è profonda differenza tra il concetto di abitazione ed il concetto di patrimonio. Inoltre non va dimenticato che il più grande “Proprietario immobiliare “ è proprio lo Stato.
L’errata visione adottata negli ultimi anni dal legislatore sta arrecando un danno allo Stato italiano impressionante, infatti la sommatoria di quanto incassato dall’erario attraverso le imposte ISI, ICI IMU, ecc. è infinitamente più piccola di quanto, con la discesa dei prezzi, sia stata la riduzione del valore degli immobili di proprietà dello Stato stesso. Insomma per incassare qualche decina di miliardi di Euro di tasse abbiamo perso svariate centinaia di miliardi di Euro in valore immobiliare.
Si può aggiungere inoltre che l’ indotto legato al settore immobiliare è molto vasto ed estremamente capillarizzato nel tessuto sociale con effetti disastrosi sulle economie locali.
Genova in particolare sta pagando un prezzo più alto a causa di ulteriori elementi che si aggiungono agli altri. La crisi dell’industria locale , il crollo demografico , l’orografia del territorio e i cambiamenti climatici, contribuiscono a rendere più difficile il momento storico in una città che tra l’altro ha ingiustificatamente valori catastali ben al di sopra della media delle altre città italiane.
In conclusione prevedo un ulteriore avvitamento delle quotazioni immobiliari nella provincia Genova, con preoccupanti effetti sulla tenuta sociale di tutta la regione.
Auspico, a tutti coloro che hanno la capacità di intervenire, una attenta riflessione e prego tutti i cittadini di promuovere il contenuto di questa lettera in ogni modo, con amici , colleghi, operatori, ecc. perché possa arrivare alle nostre istituzioni.
Genova, 4 Marzo 2015

Gualtiero Ferri

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Ci sono arrivata ai 40

Cara Viola, Buon Compleanno…se vale ancora, ma a quarant’anni sei una ragazzina!!!

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STORIA DI ANNAMARIA

di Ennore

Quello che racconterò è una storia drammatica, ma non deve generare tristezza, perché Annamaria con la sua voce, la sua intelligenza e con il suo sorriso, è un inno alla vita.

STORIA DI ANNAMARIA

É il 1971 e il marito di Annamaria è molto malato, lei come sempre é al suo fianco, quando le giunge una terribile notizia : il figlio Luigi, deviando dal suo percorso per accompagnare un amico, ha avuto un incidente in moto e purtroppo l’esito é stato fatale. Due giorni dopo quel tragico evento, manca anche il marito, ad Annamaria non resta che aggrapparsi alla vita per amore della figlia.
E’ ormai passato molto tempo da quei tragici giorni; è il 2008, Annamaria è diventata una bellissima e attiva nonna, ma purtroppo sua figlia da qualche anno è costretta su di una sedia a rotelle a causa di una malattia, ma Anna non demorde e nonostante tutto, ama ancora la vita, perché lei é una donna straordinaria.
In quel 2008, nel giorno che sarebbe il compleanno del figlio Luigi, Annamaria va da Feltrinelli in centro a Genova, cerca un libro che non riesce a trovare in una libreria vicina a casa sua. Mentre l’addetto alla vendita va verso gli scaffali a cercare il titolo, Anna viene attratta da una pila formata da copie di un libro con una strana copertina gialla, sono lì sul banco in buon numero perché il volume sta avendo un discreto successo in città, ma oltre la copertina, ad attrarre Anna è anche l’insolito titolo nel quale spicca il nome del marito; allora ne prende una copia in mano e comincia a sfogliarlo mentre aspetta il ritorno del commesso. Gira alcune pagine a caso, poi improvvisamente si blocca a pag.65 trasale per un momento, non può crederci, in quella pagina c’è una foto che ritrae un gruppo di ragazzi…e proprio in mezzo a loro, quello più in evidenza è Luigi, suo figlio, con la sua folta capigliatura. Si riprende dalla sorpresa, guarda bene, si é proprio lui. Allora compra quel libro e appena giunge a casa, chiama la casa editrice, vuole sapere come hanno avuto quella foto. Le rispondono che l’ha fornita l’autore, allora Anna chiede di potergli parlare, loro le dicono che la metteranno in contatto con lui. La sera stessa l’autore di quel libro, viene contattato dalla casa editrice, gli viene riferito della richiesta e gli danno un numero di telefono. L’uomo é molto colpito e chiama subito Anna, la quale rimane quasi sorpresa dalla telefonata che non credeva avrebbe mai ricevuto, ma l’autore le dice che non c’era motivo di non telefonare, che non é mica Umberto Eco…Anna sorride e le racconta il fatto e gli chiede come mai avesse quella foto e se poteva averne una copia. L’autore le spiega che quella foto l’aveva scattata suo padre subito dopo l’alluvione di Genova del ’70 e che lui aveva scelto per il libro, proprio quella fra le tante perché lo aveva particolarmente colpito, senza però un motivo preciso e promette ad Anna di fargliela avere. L’uomo è perplesso, gli sembra una concatenazioni di fatti troppo particolare, si chiede se forse la signora non si sia sbagliata, ma nonostante questo, qualche giorno dopo la va a trovare e le porta una copia ingrandita della foto.
Appena Anna lo introduce in salotto, lui non ha più dubbi, sulla parete e sui mobili ci sono molte foto di famiglia, quel ragazzo al centro della foto nel libro é proprio Luigi, Gigi come lo chiama Annamaria. Una lacrima trattenuta a stento scende dagli occhi dell’autore, Anna lo abbraccia e gli da un bacio sulla guancia.
Da allora Annamaria e l’autore del libro si sentono, e qualche volta si vedono, è quasi sempre Anna a chiamare, perché la vita ha ritmi che spesso fanno dimenticare all’autore di quel libro, ciò che conta veramente, Anna gli dice che lo sa che è impegnato e di non preoccuparsi, perché lei lo considera un po’ il suo angelo anche se lei non è credente. Ma non è lui l’angelo, il vero angelo in questa storia è Annamaria, una donna straordinaria.

Grazie Annamaria per avermi regalato la tua amicizia.

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I miei 20 film preferiti

Quando ero ragazzo, i cinematografi erano suddivisi in categorie, Prima, Seconda e Terza visione. In questi ultimi, proiettavano pellicole che erano in circolazione da tempo, ma avevano l’enorme vantaggio di costare pochissimo, così non di rado, si andava al cinema anche più volte al giorno. A Genova, la mia città, negli anni sessanta e settanta c’erano un centinaio di cinematografi, più di quanti ne potesse vantare Londra, così quasi tutti avevamo una sala di proiezione nei pressi di casa e questo agevolava chi come me, era appassionato di cinema. Ricordo il mio primo film, mi ci portò mio zio “Tre contro tutti” del 1962,  un western diventato poi un cult, con Sammy Davis Jr., Frank Sinatra e Dean Martin… fantastici!

Adesso però cominciate voi, perché credo che mi ci vorrà una vita a selezionarli e so per certo che ne dimenticherò a decine.

 

Tre contro tutti

Ennore

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I libri più belli letti nella mia vita

Io frequento alcuni forum di lettori ed ho anche partecipato per un certo tempo ad un GDL (gruppo di lettura), ma non sono un lettore seriale o bulimico. Spesso mi capita di incontrare sul web, persone che secondo quanto scrivono, leggono più libri alla settimana, non so se invidiarli o se considerarli come “lettori bulimici” quindi in certo senso affetti da una sorta di patologia, positiva, ma pur sempre una patologia. Non ho neanche gusti specifici, io leggo un pò di tutto, basta che a mio giudizio : sia scritto bene, che la storia mi intrighi, che non sia troppo lungo…

Spesso mi sono chiesto quali siano stati i libri più belli che ho letto nella mia vita fino ad oggi, la risposta è: che non saprei scegliere, in quanto data la mia età, sono ormai tantissimi e se li ricordo, è quasi sempre perché mi sono piaciuti, poiché mi sono avvalso del diritto del lettore, di interrompere la lettura di ciò che non mi piace.

Comunque non voglio sottrarmi e quindi proverò a nominare quelli che secondo me sono imperdibili. Comincerò da quelli della mia adolescenza, che pure ritengo immortali e che mi hanno fatto sognare e innamorare… oh bellissima Wendy di Peter Pan… ma primi fra tutti, i romanzi di Salgari, con il mitico Sandokan, Janez ed il fido Tremalnaik, poi il leggendario Cid Campeador, che mi ha fatto versare lacrime di commozione e ammirazione e infine lo straordinario Alessandro Magno. Forse sono questi, per me più importanti in quella fase della mia vita.

I seguenti, quelli che ricordo e che considero pietre miliari delle mie letture:

Asimov, tutto, ma in particolare ‘La Trilogia’

Philip K.Dick ‘Racconti’

Dune di Frank Herbert

Il nome della Rosa  di Umberto Eco

Il cacciatore di aquiloni e Mille splendidi soli di Hosseini

Vendetta  di Jonas

Il ritorno delle gru di Trevianian

La Saga di Niccolò (tutti i libri) di Dorothy Dunnet

Mendicante ladro di Shaw

Predatore di Jennings

Parlami di battaglie,di re e di elefanti  di Mathias Enard

…continua alla prossima

Ora tocca a voi.

Ennore

 

 

 

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Frasi celebri e no, che fanno meditare, commuovere e pensare

Non mi interessa cosa fai per vivere, voglio sapere per cosa sospiri e se rischi il tutto per trovare i sogni del tuo cuore.

Non mi interessa quanti anni hai, voglio sapere se ancora vuoi rischiare di sembrare stupido per l’amore, per i sogni, per l’avventura di essere vivo.

Non voglio sapere che pianeti minacciano la tua luna, voglio sapere se hai toccato il centro del tuo dolore, se sei rimasto aperto dopo i tradimenti della vita o se ti sei rinchiuso per paura del dolore futuro.

Voglio sapere se puoi sederti con il dolore, il mio o il tuo; se puoi ballare pazzamente e lasciare l’estasi riempirti fino alla punta delle dita senza prevenirti di cautela, di essere realisti, o di ricordarci le limitazioni degli esseri umani.

Non voglio sapere se la storia che mi stai raccontando sia vera. Voglio sapere se sei capace di deludere un altro per essere autentico a te stesso, se puoi subire l’accusa di un tradimento e non tradire la tua anima.

Voglio sapere se sei fedele e quindi hai fiducia. Voglio sapere se sai vedere la bellezza anche quando non è bella tutti i giorni. Se sei capace di far sorgere la tua vita con la tua sola presenza. Voglio sapere se puoi vivere con il fracasso, tuo o mio e continuare a gridare all’argento di una luna piena: SI!

Non mi interessa sapere dove abiti o quanti soldi hai, mi interessa se ti puoi alzare dopo una notte di dolore, triste o spaccato in due, e fare quel che si deve fare per i bambini.

Non mi interessa chi sei, o come hai fatto per arrivare qui, voglio sapere se sapresti restare in mezzo al fuoco con me e non retrocedere.

Non voglio sapere cosa hai studiato, o con chi o dove, voglio sapere cosa ti sostiene dentro, quando tutto il resto non l’ha fatto.

Voglio sapere se sai stare da solo con te stesso, e se veramente ti piace la compagnia che hai …… …nei momenti vuoti.

Scritto da un’indiana della tribù degli Oriah (1890)

 

Venite amici, che non è tardi per scoprire un nuovo mondo.
Io vi propongo di andare più in là dell’orizzonte, e se
anche non abbiamo l’energia, che in giorni lontani mosse la
terra e il cielo, siamo ancora gli stessi, unica ed eguale
tempra d’eroici cuori, indeboliti forse dal fato, ma con
ancora la voglia di combattere, di cercare, di trovare
e di non cedere.

Tratto da ” L’attimo fuggente”

 

…Vi faccio un esempio. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino, ma quando sono diventato uomo, anche i miei pensieri sono cresciuti e ho smesso quelle cose tipiche dei bambini.Questo esempio vale per noi credenti: adesso possiamo vedere e capire soltanto molto poco di Dio, come se guardassimo in uno specchio appannato. Ma un giorno lo vedremo, faccia a faccia, e lo conosceremo completamente. Ora tutto quello che conosciamo è confuso e annebbiato, ma allora vedremo tutto chiaramente, proprio come il Signore vede nel mio cuore in questo momento.

Ci sono tre cose che rimangono fede, speranza e amore e, fra queste, la più grande è l’amore.

Bibbia,  11 Corinzi 13    

 

 

” Non puoi dominare il vento, ma puoi orientare le vele”

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